Disturbi Alimentari

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L’esperienza alimentare è la prima forma di contatto del neonato con il mondo esterno ed anche una delle prime forme di dipendenza dall’adulto che si prende cura di lui, divenendo uno dei principali organizzatori psichici e relazionali per il suo sviluppo. Il bambino infatti comincia a sperimentare e memorizzare i diversi stati corporei attraverso le sensazioni che sperimenta durante l’alimentazione: la tensione legata alla fame, il rilassamento e il benessere legati alla sazietà.

Le risposte dei genitori, quindi, ai segnali del neonato hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo della capacità di autoregolazione. 

Un Disturbo dell’alimentazione insorge quando si incontrano dei disagi, di diversa intensità, durante il processo di nutrizione più o meno duraturi nel tempo.

Alcune difficoltà o disturbi dell’alimentazione che si manifestano nell’infanzia hanno un’evoluzione benigna e sono limitati nel tempo. Anche se solitamente tali difficoltà si risolvono spontaneamente e lo sviluppo riprende il suo corso armonioso, ci sono casi in cui, si può assistere all’emergere di un vero e proprio disturbo alimentare nel bambino.

In realtà esistono dei momenti critici in cui l’insorgere di piccoli rifiuti di cibo da parte del bambino, è frutto della fase dello sviluppo che sta vivendo.

Uno di questi delicati momenti è quello dello svezzamento, in cui si passa da cibi liquidi (il latte) a cibi più consistenti (le pappe). In questo periodo, è utile che l’adulto che nutre il bambino, comunichi al piccolo la propria tranquillità e sicurezza, poiché l’introduzione di un cibo nuovo e diverso può essere per lui fonte di ansia.

Tra le condizioni più frequenti, vi è quella del bambino che mangia solo alcuni cibi, a discapito della varietà alimentare: in alcuni casi, caratteristiche come il colore o la forma dell’alimento, possono influenzare la scelta; in queste situazioni, è necessario stimolare il bambino con altri cibi per riattivare la curiosità verso nuovi sapori.

Mentre alcuni bambini respingono il cibo mettendo in atto condotte di rifiuto durante il momento della nutrizione, altri ricorrono al vomito.

Nei casi più gravi, si può arrivare ad un vero e proprio DISTURBO DELLA NUTRIZIONE DELLA PRIMA INFANZIA, ossia l’incapacità di mangiare adeguatamente, come manifestato dalla significativa impossibilità di aumentare di peso o da una significativa perdita di peso durante un periodo di almeno un mese (DSM IV tr). In questi casi, dopo aver escluso particolari condizioni mediche associate, è auspicabile ricorrere prontamente ad una terapia.

Molto spesso l’esordio del sintomo può essere correlata ad eventi specifici occorsi nella vita del bambino: una malattia, un trasloco o l’affidamento ad una nuova figura di accudimento, come succede durante l’inserimento al nido.

In questo caso, è importante la cooperazione tra i genitori e la nuova figura, con lo scopo di condividere abitudini e routine, per rendere il passaggio meno brusco; è importante inoltre pianificare insieme l’introduzione di nuovi cibi e l’inizio dello svezzamento, per far sì che il bambino ritrovi le stesse modalità di somministrazione del cibo sia a casa che a scuola: la presenza di questa forma di coerenza in tutti i contesti di vita del bambino, dona sicurezza, fiducia e stabilità al piccolo.

È comprensibile che un genitore, in condizioni di alimentazione inadeguata del proprio figlio, possa sentirsi inadeguato egli stesso, arrivando ad esperire vissuti di ansia e di impotenza, difficili da gestire.

Il bambino, d’altra parte, può leggere la preoccupazione del genitore in molteplici modi e attivare risposte comportamentali particolari, come reazione allo stato d’animo dei genitori.

Ogni sintomo manifestato, ha un valore relazionale profondo: è probabile che il bambino, attraverso il suo rifiuto, voglia comunicarci qualcosa di specifico e che usi i mezzi e i canali comunicativi che egli conosce meglio, soprattutto quando il linguaggio ancora non è pienamente sviluppato.

In questi casi, un lavoro mirato sulla relazione tra figlio e genitori, ci consente di decodificare il messaggio veicolato dal sintomo, investirlo di un significato e contestualizzarlo, restituendo al bambino e alla famiglia nuove possibilità comunicative.

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